CIBO E lAVORO
Una riflessione di Giuseppe Orsi
Le opere di misericordia corporali: Dare da mangiare agli affamati e la nascita del progetto Ruben
Sesto Calende, Quaresima 2016
Tra le 7 opere di misericordia corporali, quella che suggerisce di dare da mangiare agli affamati è sempre stata quella più naturale: chi nega un pezzo di pane o un bicchier d’acqua a chi lo chiede? Nessuno.
Ma l’implicazione di questa richiesta, quale oggi viene sottolineata da Papa Francesco, nell’anno della misericordia, va ben oltre l’elemosina di un pò di cibo. E’ una richiesta di condivisione del cibo a livello universale, una richiesta di giustizia a livello universale.
Il cibo è certamente un elemento fondamentale della vita spirituale e fisica dell’Uomo.
Infatti Quando recitiamo il Padre nostro chiediamo a Dio Padre, di darci, oggi, cioè ogni giorno, il nostro pane quotidiano: è l’unica cosa corporale che chiediamo tra le tante spirituali, l’ unica cosa hard diremmo oggi , rispetto alle tante cose soft inserite nella stessa preghiera.
Ma perché Gesù ha voluto dare al Pane un rilievo così importante, fino a far diventare Pane il Suo stesso Corpo per darlo a noi come Cibo?
A questa domanda io risponderei: perché è il Pane, nel senso di cibo, che fa vivere il nostro corpo cioè fa vivere l’Uomo che Cristo è venuto a salvare: e l’Uomo è al centro dell’interesse di Dio Padre. Senza Cibo, non esisterebbe l’Uomo che Dio ha voluto a sua immagine e somiglianza. La creazione sarebbe ferma al quinto giorno.
Allora prima di entrare nel mondo di Ruben vorrei fare alcune considerazioni sul cibo, o sulla mancanza di cibo, e sul lavoro, o sulla mancanza di lavoro, perché solo partendo proprio da queste riflessioni si può comprendere lo spirito e la ragione di essere di Ruben.
Il CIBO
Prima considerazione: il cibo è un diritto naturale per tutti gli uomini. Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita.
È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri la alimentazione un diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni
Questo tema dibattuto con una certa enfasi durante EXPO , riportato sulla carta di Milano consegnata al segretario generale dell’ONU con la richiesta di chiedere ai Paesi membri di fare diventare il diritto al cibo un diritto costituzionale, è oggi al centro di un dibattito mondiale.
Ma come sempre avviene nei dibattiti sulle grandi questioni, strumentalizzazioni e ideologie ne deragliano spesso il percorso.
A mio parere, e ho avuto modo di affermarlo in occasione di alcuni incontri a Milano, non deve essere costituzionalizzato il diritto al cibo tout- court ma il diritto a poter “accedere” al cibo: ad ogni uomo cioè devono essere dati, garantiti dalla costituzione, gli strumenti per consentirgli di “guadagnarsi” il cibo ( ad esempio un lavoro) e non garantirgli di riceverlo solo perché ne ha diritto (elargizione, carità).
In altre parole non deve essere dato a nessuno per carità quanto gli è dovuto per giustizia.
Ed è la giustizia sociale che deve consentire ad ogni essere umano di poter accedere, attraverso il lavoro, alle risorse della terra e quindi al Cibo.
Seconda considerazione: il cibo al mondo non manca: è l’ingiustizia della sua distribuzione che rende affamati, stabilmente o piu o meno saltuariamente, i popoli.
Alla base della sofferenza da cibo di alcune popolazioni ci sono sempre cause legate alla malvagità umana: guerre, usurpazioni, genocidi, terrorismo, corruzzione etc: le stesse carestie, derivanti da fenomeni naturali, non avrebbero conseguenze così devastanti se i soccorsi internazionali potessero tempestivamente intervenire senza essere loro stessi vittima dei conflitti in atto.
Un fenomeno importante è poi quella dello spreco delle risorse alimentari se è vero che le eccedenze generate nella filiera agro-alimentare sono in Italia 6 milioni di tonnellate, pari al 17% dei consumi alimentari annui- e se è vero che i soldi che il nord del mondo spende per curarsi dagli effetti degli eccessi alimentari potrebbero garantire una alimentazione sufficiente a tutto il sud del mondo.
Quando le eccedenze non sono recuperate per soddisfare le esigenze alimentari delle persone, diventano spreco – almeno dal punto di vista sociale se non da quello economico – e costituiscono una sfida per chi si interroga su come alleviare la povertà alimentare e per chi si impegna ad aiutare quanti ne soffrono.
Dunque non è il cibo che manca: manca un’equa distribuzione dei beni della terra. La fame è il risultato della povertà e la povertà scaturisce dalle ingiustizie. C’è chi ha troppo, come persona o come nazione, e chi non ha nulla, o manca comunque del necessario. Ancora un problema di giustizia
Terza considerazione : il cibo non è solo materia, ma è anche spirito. Voglio qui ricordare che per sua natura il cibo racchiude un significato simbolico e relazionale, che va oltre il valore nutritivo e la necessità fisica di alimentarsi.
L’uomo non mangia come gli animali solo per soddisfare una necessita fisica, anche quando è da solo in casa sua. Ancor più il pasto in comune, ad esempio, è un momento prevalentemente relazionale, durante il quale si avvia un processo di conoscenza, di condivisione dell’intimità e della vicinanza (amicizia, fraternità, alleanza, società), e si dà atto a un coinvolgimento affettivo ed emotivo: scambiandosi parole, confidenze liete o tristi, coltiviamo le relazioni ovvero ciò che dà senso alla vita sostentata dal cibo.
La vita dell’uomo è una vita di relazione con gli altri ed il cibo sostiene questa vita.
Quindi questa opera di misericordia corporale, non per nulla la prima, ci chiede anzitutto di aprire gli occhi sulla fame e sulla povertà del mondo : del mondo del sottosviluppo, dove la fame comporta non solo assenza di cibo, ma anche impossibilità a curare la salute, è ostacolo ad accedere alla scuola, ad avere un lavoro ed un reddito. E la permanenza della povertà nel mondo ci dice che non è sufficiente il gesto occasionale di elemosina, ma è necessaria la solidarietà, la condivisione, la comunione con gli altri. La misericordia di Cristo, infatti, alla quale facciamo riferimento, nella fede, è stata ed è condivisione. Ricordiamo tutti l’episodio della moltiplicazione dei pani compiuta da Gesù, per dare da mangiare alla moltitudine che lo aveva ascoltato: la parabola si apre con le parole del Signore ai discepoli : “Voi stessi date loro da mangiare”
Oggi quando parliamo di “solidarietà” esprimiamo un concetto più forte e comprensivo di quello di beneficenza, elemosina, assistenza, che si limitano ad una funzione solo “riparatoria“. La solidarietà ci orienta invece ad una visione “liberatoria”: di lotta alle cause della fame, di rimozione delle condizioni di oppressione. Dobbiamo improntare i nostri interventi a criteri di giustizia, di restituzione dei diritti e non di benevola concessione caritativa.
Il cibo quindi come spirito liberatore dalla ingiustizia
Il LAVORO
io ritengo che il lavoro debba essere considerato parte integrante dei valori dell‘ uomo. Il lavoro che è si un diritto, ma anche uno dei fattori nobilitanti il nostro esser uomini, cioé esseri capaci di fare, trasformare, pensare.
In genere però quando parliamo di lavoro, soprattutto in Europa, parliamo di tipologia di contratti piuttosto che di contenuti. Tutto si esaurisce nel dibattito sulle tutele per i lavoratori e le garanzie che questi possono offrire ai poteri economici. Le prime soprattutto da parte sindacale. Le seconde da parte del sistema economico che considera, per esempio l’accesso al credito solo in base alle garanzie che il lavoratore-attraverso il suo contratto, puo offrire e non in base alla sua volontà o capacita di lavorare. E queste due posizioni, durante questa crisi , sono state devastanti per moltissime persone.
É importante ritornare a mettere al centro, l’uomo lavoratore, non il suo contratto.
E’ perché uno ” lavora” il motivo per cui deve ottenere il mutuo per la casa, avere le agevolazioni per la famiglia e tutti i necessari supporti sociali. Non perché fa quel lavoro con quel contratto, quelle tutele o quelle garanzie!,
É il lavorare, non il tipo di lavoro o di contratto che dà dignità all’ uomo. ….. è il lavoro, non quel lavoro che ci nobilita.
Per questo io ritengo che dovrebbe essere introdotta in dottrina ma soprattutto praticata una ulteriore opera di misericordia corporale, la ottava e oggi la più importante: dare un lavoro a chi non l’ha. ( la gioia di assumere 3000 giovani. Vi assicuro nulla di piu che dare ad una persona una prospettiva per il futuro ….. così come nulla di piu drammatico sentire le storie del lavoro perduto).
E se riscoprissimo ed inculcassimo il valore del lavoro e non di quel lavoro, avremmo molto meno persone disoccupate e i nostri giovani ritornerebbero a fare quei lavori che oggi ritengono non paganti o troppo umili a cominciare da artigianato e servizi.
E’ su questa stretta relazione tra dare da mangiare agli affamati e dare il lavoro a chi non l’ha e con lo stimolo di queste considerazioni , sul cibo e sul lavoro, che ne rappresentano i valori fondanti, che è nato il progetto Ruben che vi presento.
E lo faccio presentandovi l’audio della lettura della storia di uno dei tanti Ruben che ogni sera vengono al nostro ristorante : ne abbiamo raccolte cinque, cinque storie di 5 Ruben: storie autentiche che abbiamo voluto raccontare , messe su carta da Christian e raccolte nel libretto “5 pensieri invisibili “ che abbiamo regalato al presidente Pellegrini durante le celebrazioni del 50mo della Sua società e ora disponibile sul sito della Fondazione. Questa è la storia di Dino.
“Libero da tutto…. non avevo più niente” :
ogni volta che sento questa frase rabbrividisco perché….. può capitare a ciascuno di noi. Dino era un lavoratore capace, e aveva un buon posto…. ma poi la vita gli ha tolto tutto, all’improvviso : la crisi è scesa come una ghigliottina sulla sua vita che, vista da oggi, era agiata. Queste sono le persone di Ruben, queste sono le persone che incontriamo al nostro ristorante ogni sera.
Persone bisognose di un a cena ma soprattutto di ricominciare a mettersi in gioco.
Analizzeremo poi del fenomeno dei nuovi poveri e della loro demografia ma sono proprio le storie di queste persone mi hanno convinto di una riflessione che dovremmo fare tutti a partire dalle nostre associazioni di carità: cercare di mettere in grado chi ha bisogno di potersi procurare il fabbisogno personale, non donargli il cibo o la bolletta della luce con un facile e non impegnativo gesto di elemosina . riprenderemo questo argomento alla fine… se vorremo derivare dall’esperienza di Ruben qualcosa di utile per Sesto
Quindi,tornando a Ruben, in estrema sintesi :
cibo per un momento di ristoro, lavoro per riprendersi la propria vita.
Questo è il progetto Ruben.
Ma come è nato Ruben? E, ammesso che interessi, perché io me ne occupo?
Nel 2013, andato in pensione, vengo raggiunto dalla richiesta di un carissimo amico, Ernesto per me, Ernesto Pellegrini presidente dell’Inter dei record per il resto del mondo, che mi chiede di aiutarlo in un progetto che vuole lanciare.
Dopo 50 anni di attività la Pellegrini, cha Ernesto ha saputo costruire con capacità , tenacia e forte spirito etico, è oggi una impresa solida che produce posti di lavoro ed utili . “e’ tempo che restituisca un po’ del tanto che il buon Dio mi ha dato” mi dice Ernesto: , dammi una mano a fare qualcosa di utile qui a Milano, per chi è stato meno fortunato di me.
E mi piacerebbe farlo facendo quello che so fare meglio: fare mangiare la gente e dare così un momento di benessere .
L’idea iniziale di Pellegrini era quella di creare una mensa per i poveri da affiancare a quelle gia esistenti a Milano, magari in una aerea della città particolarmente bisognosa.
In quei mesi io facevo il volontario alla San Francesco di via Piave ed ero rimasto particolarmente colpito dal numero sempre maggiore di persone che si presentavano all’accoglienza, per chiedere la tessera od un buono pasto, con un CV in mano. Volevano un aiuto per cercare un lavoro, non l’elemosina di un pasto. “Se trovo un lavoro , me lo compro il mangiare e non ho più bisogno di venire qui” dicevano, spesso implorando con le lacrime agli occhi.
In quei mesi del 2013 aumentava visibilmente il numero di “diversi “che si affacciavano allo sportello, rispetto i poveri cui eravamo abituati: più titubanti, più italiani, meglio vestiti, visibilmente meno abituati a chiedere. Erano le prime apparizioni nelle mense per i poveri dei cosiddetti nuovi poveri. Persone che avevano disperatamente resistito alla crisi per 2-3 anni ma che arrivati al 5 anno avevano ceduto e si sono trovati, del tutto impreparati, a non avere più i soldi anche per i bisogni primari,
Oggi è una categoria ben individuata e la città si sta organizzando per loro ma in quei mesi rappresentavano una novità ed uno shock: piccoli imprenditori, professionisti, padri abbandonati, artigiani , negozianti, pensionati al minimo, disoccupati, lavoratori che avevano perso i “lavoretti in nero” con i quali superavano la soglia di povertà.. : una varietà di persone inesorabilmente colpite dalla perdita del lavoro e, per la prima volta nella loro vita, non più in grado di provvedere a se stessi e alla famiglie.
Ovviamente ho risposto affermativamente alla proposta di Pellegrini sia per amicizia ma anche e soprattutto perchè una attività di volontariato era nei miei piani per la pensione: avevo lavorato per 42 anni ed anche per me era tempo di ritornare un pò del tanto ricevuto. Per altro 50 anni fa , proprio in una attività di volontariato tra i minatori italiani in Belgio avevo conosciuto Rita e lei in tutti questi anni è stata certamente piu generosa di me con il proprio tempo.
Quindi, la proposta giusta al momento giusto, si direbbe
A Giugno 2013 avviamo la procedura per la costituzione della fondazione Ernesto Pellegrini onlus e subito nascono le difficoltà burocratiche. Anche per fare del bene ci sono ostacoli …. ma sicché è l’Italia delle mille burocrazie.
Nel frattempo incominciamo a delineare il progetto Ruben.
Incontriamo i maggiori enti di assistenza di Milano a partire dalla Caritas, i Frati p e Minori , le associazioni Vita Nuova, exodus, gli uffici di assistenza sociale del comune : da tutti questi incontri abbiamo la conferma che a Milano ci sono già mense per i poveri a sufficienza mentre tutti condividono che deve essere fatto qualcosa di speciale per i nuovi poveri. Loro alla mensa dei poveri non vogliono andarci perchè si vergognano.
Decidiamo così che i nuovi poveri saranno i protagonisti del progetto Ruben che a sua volta diventerà la prima attività della Fondazione Pellegrini
Superate, con la caparbietà che ci accomuna, Ernesto ed io, tutti gli ostacoli burocratici il 13 Dicembre 2013 Ernesto, Ivana e Valentina con il marito Alessandro in qualità di soci ed il sottoscritto in qualità di consigliere , ci rechiamo dal notaio per costituire la Fondazione Ernesto Pellegrini onlus
Nei mesi successivi mettiamo a punto il progetto, sia dal punto di vista della sua strutturazione concettuale che della sua organizzazione e realizzazione..
Il 3 Ottobre 2014 Mons. Bressan e il Sindaco Pisapia presenziano alla cerimonia di inaugurazione del ristorante solidale Ruben che aprirà ai commensali il 3 novembre 2014.
Nello stesso mese di novembre ci ha raggiunto il dott. Ucellatore con la funzione di direttore della Fondazione e oggi anche responsabile di Ruben.
Il Progetto
Ne delineiamo le linee generali che come detto prima abbiamo da subito voluto far trascendere rispetto al concetto della sola distribuzione di un “pasto caldo “ –
Chi viene a Ruben deve trovare
- nella cena un momento di sollievo, corporale e spirituale, e
- nell’incontro coi nostri operatori e volontari la possibilità di ricostruire la propria vita e ritrovare come Persona la dimensione sociale perduta..
Per realizzare il principio che il ristorante Ruben debba essere un luogo di Ristoro vero abbiamo messo alla base della sua realizzazione alcuni punti fermi. Quattro in particolare con riferimento al luogo, al cibo, al tempo e al pagamento.
Il LUOGO: abbiamo scelto una mensa aziendale in funzione. Cioè il ristorante Ruben fa da mensa aziendale a mezzogiorno, ed è ristorante solidale la sera. Stessa cucina, stesse derrate alimentari, stesso servizio: i commensali di Ruben sono esattamente come i lavoratori e dirigenti della società che si servono di quella mensa. Abbiamo così evitato la qualificazione del posto come” mensa dei poveri” come inesorabilmente sarebbe stata chiamata se il luogo fosse servito allo scopo. In più da una idea di continuità (molti erano usi alla mensa aziendale) e non di precarietà ( locale adibito a qualcosa d’altro-scuola oratorio chiesa…) e temporaneamente messo a disposizione. Ancora dà una idea di normalità: ci sono seggioloni e spazi per i bimbi… fasciatoio e scalda biberon. Si mangia dove si deve mangiare con cibo acquistato e cucinato per loro da professionisti formati allo scopo e che lo fanno con cuore.
Sono quantomeno discutibili alcune soluzioni così lontano dalla realtà di tutti i giorni…: dalla parrocchia romana dove i “poveri mangiano in chiesa” una volta alla settimana, alla incongruenza del “refettorio ambrosiano” della Caritas di Milano arredato con opere d’arte e arredamenti griffati …perchè “anche i poveri hanno diritto alle cose belle”. E dove a volte vanno i cuochi stellati a cucinare magari “gli avanzi” …. associando cosi ancora una volta il termine “avanzi” ai poveri… ( clamoroso il caso degli avanzi di EXPO cucinati da Bottura per i poveri del refettorio Ambrosiano … “e quando sono apparse le croste di grana è scoppiato un applauso” secondo la cronaca che dell’evento ne ha dato il “Corriere”. A volte siamo così soddisfatti del nostro fare del bene che non ci accorgiamo dell’ingiustizia che facciamo… a chi vorremmo fare del bene, magari, Dio non voglia, solo per guadagnare visibilità.
Noi abbiamo privilegiato la normalità. I commensali Ruben mangiano in un bel ristorante dove mangiano normalmente i lavoratori attivi e dove ritorneranno passato il periodo di criticità.
Il Menu: i commensali hanno diritto ad una cena di tre portate con scelta tra 3-4 primi, altrettanti secondi grande varietà di contorni freschi e cotti, frutta e dolce
I cuochi porgono particolare attenzione alla salubrità del cibo ( niente fritti e le patatine che piacciono ai bimbi sono al forno…), e alle esigenze delle varie etnie e religioni. Spesso si inventano una occasione per fare qualcosa di speciale.
Concediamo il bis – se hai ancora fame serviti pure- ma anche come operazione anti spreco. Serviti del necessario, se poi non è sufficiente ,ritorna. Un volontario controlla i vassoi sui carrelli di recupero e gentilmente fa rilevare se gli avanzi dimostrano un eccesso di prelievo. Oggi gli avanzi sono minimi.
Tanti cuochi e organizzazioni si sono offerte di venire a cucinare “una sera” per Ruben: fino ad oggi non lo abbiamo fatto in omaggio al criterio della normalità. E’ un punto di ristoro cui approdano dopo una giornata faticosa: ricordate Dino …avevo vagato come uno zombi tutto il giorno…. l’avere una cena stellata non fa altro che rimarcare il senso di ingiustizia… e la distanza..
Il tempo : nessun vincolo di tempo se non la cortesia di lasciare il posto una volta finito qualora ci siano persone in attesa. Il ristorante ha 250 posti e nelle due ore di apertura puo facilmente servire 350 persone senza imporre turni.
In molti esauriscono le due ore chiacchierando tra loro e con i volontari. Tra le 20 e le 21 il ristorante assume più la parvenza di una sala da dopolavoro, con uomini che in gruppi parlano tra loro, altrettanto le signore e i bambini schiamazzano controllati alla meglio dai volontari. Ci aspettiamo che presto compaiono le carte da gioco..
É il momento del ristoro dello spirito. I volontari si intrattengono ed ascoltano, magari per la decima volta il racconto degli eventi che li hanno portati li ed è il momento più… difficile perchè è quando ci scontriamo con una esigenza che non possiamo assecondare: in primis il lavoro—
il pagamento di 1 € (pagano i bimbi)
come in ogni ristorante alla fine del self service c’è la cassa. Chi ha più di 16 anni deve pagare 1 € per la cena e riceve lo scontrino fiscale. É stata la decisione più difficile per il generosissimo Ernesto che non voleva saperne di ricevere un pagamento per qualcosa che lui voleva donare. Si è convinto solo quando è stato certo che non era un contributo ma un modo di restituire un pò di dignità ai commensali. Il pranzo se lo comprano non lo ricevono in elemosina. E la visione plastica di questo concetto lo si ha tutte le sere alla cassa quando le monetine da 1 € le consegnano i bambini e fissando il cassiere in silenzio dicono: mio papà e mia mamma pagano la mia cena…
Cosi il Ristorante Ruben ristora. Corpo e spirito.
Ma il recupero della dimensione sociale e quindi della dignità la dà solo un posto di lavoro. Quel lavoro che renderebbe superfluo il ricorso a Ruben E su questa convinzione si basa la seconda parte della attività di Ruben. Una attività su cui stiamo lavorando tra ostacoli burocratici che confermano la mia personale convinzione che la burocrazia è l’ostacolo piu grande per la crescita del Paese
Una condizione per essere commensali di Ruben è quella della transitorietà della situazione di disagio. Transitorietà che è anche una forma mentis. L’accesso al ristorante è solo per due mesi rinnovabili una due volte massimo perche ci aspettiamo che nel fratttempo, anche con l’aiuto dei nostri volontari, i commensali trovino una lavoro che consenta loro di affrancarsi dall’esigenza del ristorante.
E noi a Ruben vorremmo poter offrire ai nostri commensali un lavoro, il lavoro della ritrovata dignità , in attesa che le condizioni economiche consenta loro di ritrovare IL lavoro che hanno perso o che desiderano
Vorremmo che i nostri volontari possano loro dire alla fine della cena : domattina presentati a quell’indirizzo e troverai un lavoro e dare così attuazione alla 8va opera di misericordia corporale
Il nostro schema prevede di individuare esigenze di lavoro generico ( pulire i parchi, togliere graffiti, lavori di imbiancatura. Facchinaggio etc.) sponsorizzato da enti e donatori e pagato con i voucher su cui impegnare immediatamente i nostri commensali.
Un progetto sta prendendo forma e speriamo di poterlo annunciare presto.
I volontari :
Pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose diverse, i volontari di Ruben hanno in comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore. Il fatto che, a solo un mese dall’apertura di Ruben, le richieste arrivate per poter svolgere un’esperienza di volontariato siano oltre 160, restituisce alla fondazione la “conferma” che l’azione e la finalità di Ruben è visibile e riconoscibile: contribuire a costruire un mondo migliore attraverso un progetto sociale innovativo e concreto.
Ruben offre ai volontari che incontra una possibilità importante di crescita e arricchimento sul piano interiore e sul piano delle abilità relazionali, concorrendo alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili e proponendo a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi dei singoli commensali che di quelli globali. La cura di questa esperienza, la cura delle persone che offrono il loro contributo si trasforma nella cura di una dimensione umana e sociale utile alla collettività. Il volontariato infatti è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro.
Ruben ha richiamato a se, attraverso la bontà e l’intelligenza della sua proposta, un’energia umana volontaria che si affida alla nostra mission per essere trasformata in risorsa utile al sostegno del progetto e delle sue attività. Per questo è necessario assumere la responsabilità di governare, canalizzare e gestire questa energia attraverso il “prendersi cura” di questo patrimonio umano, evitando cosi il rischio di disperderla. Il “progetto volontari” va in questa direzione.
I volontari di Ruben sono organizzati per aree di intervento sulla base del loro interesse e soprattutto delle competenze che possono mettere a disposizione.
Le aree ora attive sono: Accoglienza e informazioni, Ascolto , Sala, Cassa, Lavoro.
Perchè il nome Ruben .
“Lo ho chiamato Ruben come un uomo dolcissimo a cui ero molto affezionato. Era un contadino. La nostra cascina venne inghiottita dal cemento e a noi diedero una casa popolare. Ruben finì col vivere in una stalla con tre chiodi come attaccapanni., ammazzandosi di fatica lavorando come giornaliero nei campi dall’albe al tramonto. Ruben aveva due amici, il bottiglione di vino alla domenica e i libri. Leggeva libri di storia e a noi ragazzi ci interrogava e quando non sapevamo rispondere ci rimbrottava con un “te se gnurant”. Avrei voluto aiutarlo allora ma ero orfano di padre e le 50000 lire che mi dava la Bianchi servivano per aiutare mia madre Maria: Poi una mattina d’inverno compro un giornale leggo: barbone morto assiderato. Era il mio Ruben”